Recentemente ho avuto modo di visitare il museo dell’Aceto balsamico Tradizionale di Spilamberto, in provincia di Modena, rimanendone davvero affascinato…
Un luogo dove si fa cultura alimentare, ma anche diffusione delle antiche tradizioni enogastronomiche di una regione che ha saputo fare dell’agroalimentare uno dei suoi cavalli di battaglia.
Guidato da alcuni Maestri assaggiatori, ho potuto farmi un’idea della caratteristiche tecnologiche e delle peculiarità organolettiche di questo prodotto, così profondamente legato a questo territorio.
L’aceto balsamico tradizionale di questa zona si realizza a partire da uve Trebbiano, Trebbiano di Spagna, Lancillotta e dai Lambruschi (che hanno, però, caratteristiche di maggiore acidità rispetto alle altre uve), raccolte preferibilmente a mano.
I grappoli d’uva, carichi di zucchero, vengono pigiati e lasciati una notte a contatto con l’aria.
Il mattino seguente l’uva viene posta in apposite caldaie a cielo aperto, per 8-9 ore: si ottiene così l’evaporazione di un terzo dell’acqua.
Ora si fa avvenire la fermentazione alcolica, sempre in presenza di ossigeno.
Il “vino” così ottenuto viene filtrato e travasato in una botte da 220 litri, dove vengono aggiunti solo dieci litri di prodotto, ogni 10 giorni, fino a riempirla per circa il 60/70%.
Questa è la botte da cui si ottiene il mosto madre sul quale si sviluppa un film di acetobatteri.
In primavera si vanno a trasferire i primi litri di mosto acetificato in batteria: botti da 50 litri fino a 15, che non saranno mai completamente riempite di liquido.
Le botti più grandi sono prodotte con legni più morbidi, quelle intermedie (da maturazione, da cui si ottengono aceti ottimi per le insalate) con legni di durezza intermedia e quelle più piccole (per aceti da invecchiamento) con legni particolarmente duri, che riducono al massimo l’evaporazione.
Le botti vengono generalmente tenute nei sottotetti, dove in estate il caldo favorisce l’azione di lieviti e batteri, mentre il freddo invernale permette all’aceto di decantare ed affinare il suo corpo. Il precipitato (“fittumi”) si può anche utilizzare per pitturare l’esterno delle botti.
Dall’ultima botte della batteria si estrae ogni anno un 4/10% di prodotto che si porta ad assaggiare, per poterlo classificare sulla base di un punteggio che gli verrà assegnato da una commissione di Maestri assaggiatori.
Gli aceti così ottenuti possono avere da un minimo 5 fino a 25 anni e più di invecchiamento.
Per esser definito “vecchio” un aceto deve avere almeno 12 anni di invecchiamento, mentre l’extra vecchio è pronto solo dopo 25 anni.
Cosa ci si aspetta da un un aceto extravecchio (come quello di questa foto)?
Per quanto riguarda il colore, questo deve essere bruno scuro, carico e lucente; al naso non si devono percepire difetti ed in bocca l’aceto deve presentare corpo (inteso come pienezza) ed armonia.
Un’esperienza in grado di coinvolgere i nostri sensi, ma che richiede impegno e tanta pazienza….
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