Oggi vi portiamo alla scoperta di uno dei formaggi pugliesi più famosi ed amati della nostra meravigliosa penisola
Soprattutto nei mesi estivi, con il riversarsi di turisti fra i mari Ionio ed Adriatico, si sente sempre più parlare di uno dei più famosi prodotti tipici pugliesi più trendy: la burrata. Si tratti di una pasta filata con un ripieno gustoso e burroso, appunto. Il prodotto, perdipiù, sembra essere diventato il terzo al mondo secondo Taste Atlas dopo il Parmigiano ed il Gorgonzola.
La burrata è un formaggio fresco a pasta filata, prodotto tutto l’anno, ottenuto da latte vaccino; si tratta di un formaggio nato nel sud Italia (Puglia in questo caso), che dal 2016 è valorizzato con il marchio IGP di Andria. Il suo nome deriva non tanto dal ripieno quanto dal sapore, dolce e leggermente acidulo.
Si tratta di un tipo di formaggio, come mozzarelle e caciocavalli, sottoposto a “filatura”, cioè all’allungamento come fili della cagliata, rotta in dimensioni di chicchi di riso o noce, in acqua calda a 90°C e poi modellata a mano secondo le forme desiderate.
Con il Disciplinare, modificato di recente per venire incontro agli allevatori locali valorizzandone il latte, si è andato a tutelare e garantire ancor meglio il legame col territorio del prodotto, dato che dallo stesso disciplinare, nell'art.3, si viene a sapere che l’Area di produzione, lavorazione e trasformazione è l’intero territorio Regionale della Puglia. Infatti in Puglia esistono oltre 80.000 vacche da latte, ma nella prima versione del Disciplinare non c’era l’obbligo di impiegare solo latte pugliese, anche perché su 3,6 milioni quintali di latte prodotto in Puglia, ben 2,7 milioni provengono da importazione, e oltre 35.000 quintali di prodotti sono semilavorati (cagliate, caseinati, ecc.). Si può quindi ben capire la scelta del Consorzio di tutela di modificare il Disciplinare per favorire i produttori di latte locali.
La produzione inizia in caseificio partendo da latte crudo o pastorizzato a 72°C per 15 secondo, quindi acidificato con latte innesto o siero innesto, fermenti selezionati o acidi (citrico o lattico). Il tutto avviene a 35°C - 38°C, con l'aggiunta del caglio animale. A questo punto si ha la coagulazione delle K-Caseine e la formazione della cagliata, seguita dalla rottura in pezzi piccoli come nocciole. Dopo una breve fase di riposo, avverrà la filatura a caldo: una parte serve per formare dei “sacchetti”, un’altra parte verrà sfilacciata a mo’ di fettucce, mescolate con panna, che comporranno la stracciatella che costituirà il ripieno. Una volta riempito, il sacchetto di pasta, viene sigillato a caldo e poi raffreddato. Seguirà una fase di salatura in salamoia. Seguirà infine, la fase di confezionamento in vaschetta (da 100g ad 1 Kg) e conservazione a 4°C-6°C.
Recentemente si sta anche puntando ad ottenere la più restrittiva, ma valida, DOP anche realizzando un impianto per lo smaltimento dei reflui di caseificazione, e dal 2020 ne esiste una variante ripiena di…orecchiette! L’ideazione è di Vincenzo Troia, che con un accurato Storytelling ha promosso sui social questa squisita variante tutta “taste in Puglia”.
BIBLIOGRAFIA
https://www.ruminantia.it/burrata-di-andria-igp-approvate-le-modifiche-al-disciplinare/
https://www.foodweb.it/2021/03/burrata-di-andria-igp-cambia-il-disciplinare/
Disciplinare “burrata di Andria”
Manuale del Casaro M. Grassi, HOEPLI
https://www.ilgiornaledelcibo.it/burrata/
https://www.repubblica.it/il-gusto/2020/09/07/news/burrata_orecchiette-296259403/
https://www.ruminantia.it/formaggi-a-pasta-filata-viaggio-dalle-origini-alle-tecniche-di-produzione/