Colore, consistenza, limpidezza, complessità ed intensità olfattiva e poi via, un sorso e di corsa verso altri parametri valutativi, altre parole (non sempre del tutto chiare), altre considerazioni traducibili in numeri…
Tutto questo per arrivare ad un voto: un valore, un numero, per l’appunto, su una scala da uno a cento, che classificherà un dato vino in una determinata guida, in un concorso, in una esposizione, fino ad arrivare ad essere utilizzato anche per articoli di giornale.
Ma abbiamo veramente bisogno di imbrigliare in un numero un prodotto vivo, figlio della storia di una cantina, del lavoro e del sudore dell’uomo?
C’è davvero bisogno che sia il palato di qualcun altro a dirci se un prodotto è in grado di emozionarci e merita la nostra considerazione (e, di conseguenza, il nostro denaro)?
Pensiamo anche che, in taluni casi, un voto, all’interno di una certa guida, può portare addirittura ad oscillazioni di valute azionarie per cantine particolarmente prestigiose e quotate in borsa.
Cresciamo con l’abitudine a ricevere da altri un voto, ad essere valutati, giudicati, pur sapendo che certi giudizi possono frenarci, crearci dei complessi, colpevolizzarci oppure esaltarci in un ambito, quello scolastico, ben lontano dalla vita vera che affronteremo da adulti. Serve davvero sottoporre anche un vino a tutto questo? Del resto stiamo parlando di una materia viva, in continua evoluzione, che esprime se stessa in relazione al territorio da cui proviene, alla specifica annata, alla mano dell’uomo che, con il suo intervento, ne ha determinato il risultato finale.
Spesso, inoltre, non si tiene del tutto in considerazione anche l’aspetto dello specifico momento in cui avviene la valutazione: siamo davvero certi che quel vino sia stato valutato nel suo “miglior momento di forma”? E l’assaggiatore… è sicuro a sua volta che in quel preciso giorno sia veramente nel suo optimum sensoriale per esprimere correttamente la sua valutazione? Che cosa accadrebbe se lo stesso assaggiatore ripetesse la sua valutazione sullo stesso prodotto sei mesi oppure un anno dopo?
L’importanza dell’analisi sensoriale
Studiare costantemente, allora, risulta l’unica strada per acquisire competenza e consapevolezza, in qualsiasi campo; del resto il vino, come ogni alimento, è una sostanza che, introdotta all’interno del nostro corpo, interagisce con il nostro apparato sensoriale, restituendoci stimoli da tradurre in sensazioni.
Stimolo: tutto parte da qui. Si definisce stimolo un qualsiasi agente, o condizione, che induce un mutamento nello stato fisico-chimico del nostro apparato sensoriale, causando una determinata percezione. La quantità di informazioni che il nostro cervello elabora ogni secondo è impressionante, ma solo una parte viene elaborata a livello conscio: 40% vista, 30% udito, 5% tatto, 1% olfatto, 1% gusto.
Lo stimolo, dicevamo, viene tradotto in sensazioni ed emozioni e proprio su queste che dobbiamo focalizzarci. Siamo in grado di riconoscere correttamente le sensazioni che un determinato vino ci regala? Siamo capaci di etichettarle con il sostantivo più idoneo ed utilizzare nel modo più rispondente al vero tutti gli aggettivi che la nostra lingua ci mette a disposizione?
Molto spesso, per abitudine o per semplicità, tendiamo ad utilizzare vocaboli non perfettamente calzanti o non completamente idonei alla valutazione di uno specifico aspetto di una matrice alimentare (non solo vino, sia ben chiaro). Ecco allora che l’analisi sensoriale può venirci in aiuto. Si tratta dell’insieme delle tecniche e dei metodi (in cui nulla viene lasciato al caso o alla soggettività) che permettono di misurare, attraverso gli organi di senso, quanto viene percepito di un prodotto (o addirittura di un servizio). In tal modo si allarga l’orizzonte oltre il difetto, per valutare le caratteristiche positive e verificare globalmente l’attitudine di un bene.
Per riuscirci, però, è necessario anche il confronto con altre persone addestrate: i giudici di analisi sensoriale; un lavoro di squadra che ha inizio con l’estrazione dei descrittori (specifici per la tipologia di prodotto da valutare), necessari a definire le caratteristiche del bene in esame. L’obiettivo è quello di verificare globalmente l’attitudine di un prodotto (o servizio) a soddisfare un desiderio o un’esigenza.
Quanto siamo capaci di percepire? Come sono i nostri “strumenti di misurazione”? Analizziamo le emozioni che un prodotto ci dà (positive o negative) e che portano ad un giudizio edonistico, andando oltre il “mi piace/non mi piace”, per arrivare al motivo per cui un determinato prodotto ci dà piacere.
Con l’analisi sensoriale possiamo diventare abili a valutare le caratteristiche di un prodotto (ma anche di un servizio), pur non essendo necessariamente degli esperti. Solo costruendo cultura ed affinando la nostra sensibilità potremo acquisire la libertà di valutare autonomamente un vino.
E allora le guide? Ovviamente queste restano validi strumenti di comparazione tra diversi prodotti e ci danno l’opportunità di confrontarci con un professionista (o un gruppo di professionisti), ma non devono necessariamente assurgere ad una sorta di “Bibbia del bevitore”.
Realizzare una guida è certamente un lavoro encomiabile ed estremamente importante che, proprio grazie all’analisi sensoriale, potrebbe esprimersi in maniera ancora più completa, restituendo un risultato ancora più forte.
Ci avevate mai pensato?