Il prossimo 11 novembre si terrà la terza edizione di Meet in Cucina Marche, che sarà ospitata a Senigallia. Approfittando di questa notizia, giuntami proprio oggi, vi faccio rivivere l’ultima edizione abruzzese, tenutasi a Chieti lo scorso 28 gennaio.
Inizio questo pezzo con un mea culpa: avrei dovuto pubblicare questo post parecchio tempo fa (anche se comunque avevo dedicato all’evento un post instagram), ma diversi impegni di lavoro mi hanno portato, come al solito, fuori dall’Italia e lontano anche dal mio blog (che nel frattempo è diventato un vero e proprio sito). Quindi colgo la palla al balzo per condividerlo oggi, “in preparazione” al post con cui vi informerò sui dettagli della prossima edizione marchigiana del Meet in Cucina.
Buona lettura…!!
La quinta edizione di Meet in Cucina Abruzzo è stata un vero e proprio successo in termini di pubblico, ma anche soprattutto per la qualità degli ospiti intervenuti e la varietà degli stand allestiti: vini, salumi, cucina vegetariana e pasta, solo per citarne alcuni…
Il primo intervento a cui ho assistito è stato quello tenuto da Niko Romito, introdotto da Fulvio Marcello Zendrini (docente di marketing e comunicazione all’accademia Niko Romito). “Riuscire a trasmettere ai ragazzi la mia filosofia, valorizzando le loro peculiarità, senza imporre il proprio punto di vista: questa è la base della formazione personalizzata che attuo nella mia scuola”, dice Niko, circondato dai numerosi allievi che hanno aperto proprie attività, in tutte le province dell’Abruzzo. “Tutti i ragazzi che hanno frequentato la mia scuola – prosegue lo chef – hanno visto iniziare i miei progetti, anche nel sociale. Il mio modello è quello della scuola che diventa impresa e trasmette il coraggio di investire e mettere in piedi una propria attività. Ciò è possibile anche perché gli alunni sono solo 16 e con loro riusciamo ad instaurare un rapporto diretto, profondo, cercando d’imitare modelli di successo che portino anche a sviluppare le peculiarità del nostro territorio.”
La chiusura dell’intervento è sempre di Zendrini, che sottolinea come “in Accademia, cerchiamo di fornire tutti gli strumenti utili affinché gli studenti sviluppino autonomamente i loro progetti e siano quindi in grado di avviare nuovi ristoranti e fare marketing territoriale, innovando, nel rispetto della tradizione.”
Realizzato, il doveroso scatto di rito con tutti gli ex allievi di Niko che oggi hanno un loro ristorante in Abruzzo, è la volta di William Zonfa della Magione Papale (L’Aquila).
Col suo modo di fare ristorazione, William è divenuto una sorta di Ambasciatore dell’Abruzzo e a Meet in Cucina propone propone due piatti, che rappresentano l’Italia e l’Abruzzo.
Chitarra al ragù di agnello.
Si parte da un estratto di mirepoix: sedano, carota e cipolla tostate in olio, sgrondate, frullate, passate in un panno stamina, che permette di far passare la parte più leggera, ottenendone praticamente un estratto.
Polvere di pomodoro, ottenuta da pomodoro fresco privato della pelle e dei semi, salato, con aggiunta di qualche spicchio di aglio e rametto di rosmarino, infornato a 60 gradi per dieci ore: si ottiene un pomodoro che ha la consistenza di un chips, che viene frullato, in maniera da ottenerne una polvere. Questa avrà una massima concentrazione di sapore.
La pasta viene cotta in acqua per circa un terzo del suo tempo di cottura, per poi finire la sua cottura in padella con l’estratto di mirepoix e aggiunta dell’acqua di cottura.
Polpa d’agnello battuta molto fine e sgrassata, come fosse una tartarre.
Estratto di aromi di salvia, timo, rosmarino e alloro.
A questo punti si mette a scaldare la padella e vi si aggiunge un filo di olio extravergine di oliva, poi la polpa d’agnello, un pizzico di sale, pepe, sfumando con un po’ di acqua di cottura.
Nel frattempo, la pasta sta continuando la sua cottura e vi si va ad aggiungere un filo d’olio.
Quando è pronta, la tolgo dal fuoco e la vado a predisporre sul piatto dove vi aggiungo la polvere di pomodoro, vino rosso sfumato, estratto delle 4 erbe di cui sopra e poi il ragù, pecorino abruzzese non troppo stagionato.
Risotto al parmigiano di melanzane.
Si parte dalla polvere di melanzane, ottenuta a partire da due melanzane lavate e private delle estremità, avvolte in carta argentate e infornate a 180 gradi per 30 minuti. La melanzana inizia a cucinare, ma i suoi sapori “appassiscono” leggermente. Ora le melanzane vengono frullate e stese su una teglia coperta con carta adsorbente, per poi essere rimesse in forno per 24 ore a 60 gradi. In questo modo le melanzane vengono asciugate e ne rimane una lastra secca, da sbriciolare e frullare. Per ottenere 50-60 grammi di polvere ci vogliono circa 5-7 melanzane.
Altro ingrediente necessario è l’acqua di pomodoro: si parta da pomodorini datterini frullati e filtrati; il liquido estratto viene lasciato colare attraverso un panno adsorbente (stamina) per una notte intera. Si ottiene così un’acqua quasi trasparente che non ha subito ancora nessuno shock termico.
Il riso viene dunque fatto cucinare esclusivamente con l’acqua di pomodoro, acida, che richiede una cottura del riso di 2-3 minuti più lunga del normale. Il riso deve sempre galleggiare e mai affogare mentre si cucina, e quindi aggiungo un po’ alla volta l’acqua di pomodoro.
Fatta ritirare totalmente l’acqua del riso, lo si va a togliere dal fuoco per poi aggiungervi, dopo due minuti, un paio di pezzetti di burro e poi grana 36 mesi, in ultimo un filo d’olio a crudo e julienne di basilico fresco.
Impiattare e mettere la polvere di melanzana sul piatto stesso. Ancora un filo d’olio a crudo e poi una noce di gelato di fiordilatte (ottenuto lavorando fiordilatte di un caseificio de l’Aquila).
Qual’è il valore dell’Italia rapportato alla cucina mondiale secondo William Zonfa? La tendenza è quella di andare verso la leggerezza, ma mantenendo il gusto. Si fa attenzione alla salute ed alla leggerezza dei piatti, realizzati comunque in maniera gustosa e saporita.
E’ poi la volta di Danilo Cortellini, chef presso l’Ambasciata Italiana a Londra, che si presenta proponendo Lombetto di agnello con pallotte cacio e uova.
Per questo secondo piatto, si parte da un carrè disossato, cotto sotto vuoto a 56 gradi per 45 minuti e poi raffreddato. La carne rimane sempre rosa e va solo rosolata.
Nel mentre si prepara un pesto di fave, sbianchite e raffreddate, che alla fine risulterà pastoso.
Mentre l’agnello sta rosolando, si aggiunge un po’ di burro per caramellare (nappatura della carne) e si provvede a ripassare in padella una cicorietta selvatica sbianchita, con olio, burro e cipolla stufata.
Al momento di impiattare si aggiunge del fondo di agnello.
Agnolotti (ripieni di) cacio e pepe.
Una besciamella molto dura, senza sale e pepe in cottura, viene cotta con molto grana che quindi le conferisce sapidità. A fine cottura si aggiunge il pepe e poi si mette questo impasto nella saccapoche, per utilizzarlo per il ripieno degli agnolotti.
Pur essendo in Abruzzo, l’organizzazione ha potuto contare anche sulla presenza del marchigiano Mauro Uliassi, fresco insignito della terza stella Michelin, che ha affrontato il tema della creatività attenta, organizzata in gruppo.
L’armonia del lavoro, il desiderio di migliorarsi costantemente e la ricerca della perfezione, questi i tre concetti chiavi esposti dallo chef di Senigallia, ospite speciale in questa manifestazione tutta abruzzese.
Si parte da una idea, avuta da qualcuno del gruppo, per discuterla tutti quanti assieme, finchè come team non si è convinti che sia il massimo.
“Marche e Abruzzo – dice lo chef – sono legati dall’Adriaticità e hanno tradizioni di cucina comuni, che esprimono sia la terra che il mare.
Nel ristorante come nella vita, è importante sorridere sempre, trasmettendo così voglia di vivere, serenità e positività a se stessi e agli altri. I clienti vengono al ristorante per avere il piacere di starci. Certo che ho voglia di fargli provare anche cose diverse rispetto alle loro abitudini, ma cerco pure di assecondarli, per far si che se ne vadano contenti. L’ego, la presunzione, non servono a niente.”
Una cucina studiata, ma anche molto gustosa, volta alla ricerca dell’equilibrio, che possa piacere a persone anche molto diverse tra loro.
“Mangiare è un atto molto intimo; devo cercare un cibo che possa essere ben accetto e soddisfare diverse esigenze. Il piatto va costruito pensando ai cinque sensi: il gusto, fatto coi suoi sapori; il tatto, percezione sensoriale all’interno della bocca, così come le temperature; la vista, il collegamento degli occhi col cervello e stimolo della voglia di mangiare; l’udito, legato alla musicalità che un piatto deve avere. L’elemento olfattivo è poi quello che rende emozionante un cibo, riportando alla memoria qualcosa che ho già mangiato, già vissuto.”
Il Lab del 2018 è stato riproposto anche nel 2019, come ad esempio, le uova di canocchia con semi del frutto della passione, la corona di rombo grigliata, con sopra un battuto di olive, capperi e salsa tzazichi con l’arancio, il battuto di colombaccio con una salsa di spalla agnello e gocce di eucalipto.
L’ultimo intervento che ho ascoltato è quello di Ida Di Biaggio della Gelateria – Cioccolateria Novecento di Pescara. La maestra gelatiera ha spiegato come sia possibile creare un sorbetto a partire da qualunque piatto.
Il gelato gastronomico è infatti un gelato non dolce, una zuppa della tradizione, resa sorbetto.
Come, ad esempio, il sorbetto di lenticchie di Santo Stefano, con ceci e fagioli, accompagnato da una gelè di brodo, su base di pane tostato di grano di solina, con granita di carota e gelatina di sedano.
Per realizzare un gelato gastronomico si utilizzano zuccheri diversi: saccarosio, trealosio e destrosio. Gli zuccheri servono a legare l’acqua ed hanno un potere anticongelante, che dà cremosità.
Davvero un modo singolare di concludere o sostituire un pasto…
E adesso? Che cosa ci potremo aspettare con la prossima edizione di Meet in Cucina?
Restate connessi per scoprirlo.