Il 21 Aprile scorso, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali, si è tenuto un interessante convegno sulle tecniche biologiche in vigna ed in cantina.
Sono intervenuti docenti dell’Università Politecnica delle Marche, esperti e tecnici di importanti realtà vitivinicole marchigiane e dell’A.S.S.A.M. (Agenzia Servizi per il Settore Agroalimentare delle Marche).
Si è partito considerando il cambiamento dei vini negli ultimi anni: a cosa è dovuto? Come sta evolvendo l’enologia, in seguito alla sempre maggior richiesta e produzione di vino biologico (ma anche biodinamico/naturale, ecc…)?
La superficie vitata a bio ha superato i 4.000 ettari nelle Marche. L’interesse dei viticoltori è in crescita e si sposa con il discorso della sostenibilità.
Sandro Nardi, del servizio fitosanitario regionale ASSAM, ha poi iniziato il suo intervento, concentrandosi sui prodotti ammessi in regime di agricoltura biologica: questi hanno persistenze minori rispetto a quelli usati nella tradizionale o nell’integrata e, dunque, necessitano generalmente di un numero maggiore di interventi.
La viticoltura biologica nelle Marche è in aumento e il nuovo Piano di Sviluppo Rurale ha allocato risorse dedicate proprio a questo settore. È dal quadro normativo che si desumono gli interventi che si possono fare in campo.
L’allegato 2 del regolamento CE 889/2008 è molto dettagliato al riguardo, elencando tutti gli antiparassitari autorizzati in agricoltura bio.
Generalmente, le molecole devo esser ottenute da estratti naturali e non da sintesi chimica.
Feromoni, piretrine naturali (estratti da piante tipo il crisantemo), olii vegetali, microrganismi, sostanze di origine organica ed inorganica (con limitazioni sui quantitativi per anno e per ettaro); poi vi sono sostanze corroboranti, che si possono utilizzare in abbinamento ad altri prodotti oppure con finalità collaterali, ma non con scopo primario.
Le possibilità ammesse in bio sono, ovviamente, in evoluzione e ogni anno bisogna ricontrollare la lista di prodotti ammessi ed autorizzati.
Le avversità principali sono costituite da:
⁃ crittogame –> peronospora (contrastabile con sali di rame, prodotti alternativi al rame, come l’olio d’arancio dolce. Da mezzo kg a due kg li di prodotto per ettaro per unico intervento, ma non più di 6 kg di prodotto all’anno);
⁃ oidio (zolfi bagnabili o polverulenti);
⁃ botrite (alcuni bacilli e bicarbonati di potassio. Rame e zolfo in parte);
⁃ mal dell’esca.
Ha preso poi la parola il professor Gianfranco Romanazzi (docente di patologia vegetale) che è intervenuto ribadendo subito un concetto molto importante: gli apporti di prodotti fitosanitari sono maggiori in agricoltura bio rispetto a quelli dell’agricoltura tradizionale ed integrata; 6 kg per ettaro per anno di rame sono il limite consentito.
Vi sono poi altri prodotti che si possono utilizzare: sono possibili tentativi con polvere di propoli più rocce che si è visto poter portare anche ad una riduzione di circa il 50% delle malattie, mentre col rame la riduzione arriva, spesso, ad oltre il 90%.
Il rame si accumula e resta sul terreno e sul legno di potatura anche mesi dopo i trattamenti.
Poltiglia bordolese ed idrossido di rame sembrano i prodotti più efficaci, nelle annate scarsamente piovose. Interessante il chitosano che protegge da peronospora ed induce resistenza nelle piante, soprattutto nelle annate piovose.
E’ stato poi il turno della professoressa Paola Riolo (docente di entomologia generale ed applicata) che ha parlato di due “odiosi” parassiti della vite: la tignoletta e Scaphoideus titanus.
Lobesia botrana è un lepidottero tortricide che depone un uovo all’interno dell’acino. Svolge tre generazioni all’anno: di conseguenza tre volte all’anno si ha il pericolo di danni, prima sui fiori e poi sugli acini. Gli adulti sono attivi a temperature superiori ai 15°C (con un optimum di 25°C) ed umidità relativa del 40/70%. Le larve possono causare danni anche all’olivo.
I danni sugli acini sono poi utili per Botritis cinerea, che può sfruttare i fori sugli acini per penetrare ed ammuffirli. La pioggia ostacola i voli di queste farfalline ed estati calde e secche ne ostacolano lo sviluppo (umidità relativa inferiore a 40% e temperature superiori a 30°C). Bisogna fare rilevamenti della presenza degli adulti piazzando trappole a feromone specifiche per i maschi. Così si realizzano le curve di volo che danno indicazioni su quando eseguire i trattamenti, osservando al contempo i danni sui fiori e sugli acini. La soglia di intervento è il 5%. Confusione sessuale con erogatore di feromone sintetico.
Altro mezzo di contrasto è il Bacillus thuringensis che deve intervenire sulle larve appena sgusciate. In ultimo si possono usare specifiche neurotossine.
Per quanto riguarda S. titanus, invece, i trattamenti sono da effettuare nelle ultime fasi giovanili, generalmente verso giugno, con le Piretrine.
E’ intervenuto poi Gabriele Tanfani (Agronomo dell’Azienda Bucci) che ha voluto precisare subito che il vino biologico è l’unico normato dal legislatore a livello comunitario.
“Oggi ci sono dei contributi per chi fa biologico, ma quanti sono quei produttori che lo hanno fatto per scelta e lo avrebbero fatto anche senza contributi?” Quesito interessante che ha poi stimolato una piacevole tavola rotonda.
Concimazione, potature ed inerbimento: la vite deve mangiare poco ed esser sana.
Il biologico, se fatto seriamente, permette di esaltare le caratteristiche di un territorio perché ne limita al massimo le possibili “alterazioni esterne” dovute alla chimica.
Giuliano D’Ignazi (Enologo dell’Azienda Moncaro), ha iniziato il suo intervento da una considerazione: la crescita del 280% del biologico negli ultimi 10 anni. La prima normativa comunitaria sulle coltivazioni biologiche risale al 1991, la normativa CE 203/2012, invece, riguarda le tecniche di vinificazione.
Si è passato da una enologia “curativa” ad una preventiva. L’utilizzo delle biotecnologie è in crescita anche nella viticoltura tradizionale e, in generale, l’utilizzo della chimica sta diminuendo perché non consente di fare una vera qualità e non è rispettoso dell’ambiente.
Il vino è un bene di piacere, che deve emozionare, quindi il vino biologico deve essere piacevole e gustoso almeno quanto quello non biologico.
10 mg/l di solforosa sono il limite per non inserire la dicitura “contiene solfiti” in etichetta. Limite difficile da non superare anche per chi fa biologico.
Tutte le aziende di questo settore hanno controlli documentali, con riscontri analitici sul campo e sul vino. Se non si costruisce la qualità in campagna, con uve sane, l’enologo non può fare miracoli in cantina ed il risultato finale sarà comunque mediocre e necessiterà di maggiori trattamenti.
Giuseppe Camilli (Responsabile settore vitivinicolo ASSAM), si è invece concentrato sula sostenibilità che deve essere economica, ambientale e sociale.
Utilizzando alcuni dati riportati da infowine.com, Camilli ha parlato di sostenibilità come di un percorso in cui non vi è un punto di arrivo: col progredire delle conoscenze, si potranno avere sempre più prodotti maggiormente sostenibili.
Il dibattito si è avviato alla conclusione con un “ping pong” tra Marco Menghini (presidente associazione agronomi marche) e la professoressa Oriana Silvestroni che hanno parlato dell’importanza di una corretta gestione del vigneto possibilmente fin dall’impianto. Il vino biologico deve essere piacevole e forse anche di una qualità sensoriale maggiore rispetto a quello da agricoltura convenzionale perché l’uva dovrebbe esser ancor di più segno del territorio di provenienza.
Esistono oltre 20 enti certificatori, il cui codice è riconoscibile dalla sigla “Lit bio” riportata sull’apposita etichetta del biologico, ma la cosa più importante resta sempre quella di conoscere le cantine e capire se queste stanno facendo biologico per scelta etica od economica, in quanto l’approccio, almeno in prima battuta, è sensibilmente diverso.
Il futuro potrebbe essere l’utilizzo sempre maggiore di varietà ibride di vigna maggiormente resistenti ad oidio e peronospora che potrebbero essere una soluzione per ridurre l’impatto ambientale dei trattamenti.
Discorso diverso è per il biodinamico che non è necessariamente garanzia di una maggior qualità, ma solo del rispetto di una determinata filosofia. Prima bisogna essere biologici e poi certificarsi Demeter per entrare nel novero dei produttori biodinamici, i cui prodotti finali si avvalgono esclusivamente dell’uso di lieviti indigeni, riprodotti di anno in anno e non liofilizzati.
Un pomeriggio di vera “CulturAgroalimentare” che si è concluso nel migliore dei modi: un piccolo rinfresco, accompagnato da vini tutti rigorosamente bio, di Aziende Marchigiane.
Come sempre, tutte le foto di questo evento sono disponibili sulla Pagina Facebook di CulturAgroalimentare.com cliccando qui.