“Masterchef”, “La prova del cuoco”, “Cotto e Mangiato”, “I menù di Benedetta”…
Alzi la mano chi non ha nemmeno sentito, anche solo per sbaglio, almeno una di queste trasmissioni.
E’ lo show business…applicato ai fornelli!
Dai libri di cucina, talvolta scritti a mano e conservati gelosamente dalle nonne, alle enciclopedie di , fino ad arrivare a Carlo Cracco e a tutti gli “entertainer” che oggi imperversano in televisione.
Nel progettare le cucine dei ristoranti, l’attuale tendenza è sempre più quella di far sì che queste siano “a vista”, permettendo così ai clienti di osservare ciò che lo chef col suo team stanno realizzando e valutare l’igiene e la pulizia.
La curiosità di conoscere il “dietro le quinte” in questo mondo così morbosamente voglioso di spiare dal buco della serratura, un po’ in stile “Grande Fratello”, è alla base del successo di Hell’s kitchen che ha creato il mito di Gordon Ramsey, personaggio controverso, capace di servire piatti contenenti carne anche a vegetariani. Egli, oltre che il mito, è anche l’incubo della maggior parte delle trasmissioni televisive incentrate sulla cucina.
Ma perché questa spettacolarizzazione dell’arte gastronomica? E, soprattutto, siamo in grado di distinguere l’arrosto dal fumo?
La globalizzazione e le numerose scoperte in ambito scientifico (pensiamo anche solo all’introduzione del forno a microonde, ormai immancabile nelle nostre case), oltre ai nuovi costumi alimentari (vegan e paleo su tutti), han fatto sì che la mole di informazioni in campo nutrizionale e gastronomico sia diventata talmente ampia da non esser più gestibile.
Un po’ come con le diete: a zona, digiuno controllato, dissociata, iperproteica, degli antizuccheri, del minestrone, ecc…
Tutto è relativo: conta solo ciò che “fa bene”; ma chi è che decide ciò che fa bene e ciò che, invece, è peccato mortale?
Sembra quasi di trovarsi a passeggiare il sabato pomeriggio lungo il corso principale di una delle grandi città italiane: centinaia di voci si alternano, provando a sovrastarsi, senza che sia possibile capirne il senso…è una gara continua a chi “urla più forte” per farsi ascoltare.
Dalla novelle cuisine, alle mini porzioni, dagli spiedini di insetti alla cucina molecolare: tutto è lecito, pur di attirare l’attenzione; e così imperversano libri, programmi tv, videocorsi, pagine facebook, hashtag provocatori e chi più ne ha più ne metta…
Alla fine però, di solito, “vince” chi la spara più grossa, riuscendo a catalizzare per qualche minuto l’attenzione del grande pubblico su di sè. Tanto, presto o tardi, ci si dimenticherà di ciò che è stato detto…
Non è necessario essere tecnologi alimentari per capire, almeno a grandi linee, quale sia il percorso che porta una materia prima a diventare prodotto finito o componente di un altro alimento. Internet mette a disposizione ogni sorta di informazione: dalla chimica alla microbiologia, passando per gli enzimi con i loro processi metabolici. Evitiamo, quindi, di farci impressionare da questi personaggi, comunque umani e, quindi, soggetti all’errore (o ai loro interessi…?) che i media ci propongono sempre più spesso come guru o come artisti geniali, con licenza di “creare”…
Ciò vale anche per le guide dei vini: personalmente l’unica di cui realmente mi fido è quella scritta grazie alla mia personale esperienza di tutti i giorni. Non per presunzione, ma perché, in fin dei conti, un vino (così come un piatto) sono io che lo andrò a degustare. Con questo non dico di essere il portatore della verità, ma solo che ognuno di noi, se adeguatamente preparato, curioso e critico, può, con l’esperienza, imparare a distinguere ciò che è valido da ciò che non lo è e riconoscere chi è realmente competente e credibile da chi, invece, ci sta solo vendendo aria fritta.
“La conoscenza rende liberi“, diceva Socrate, ma anche schiavi, aggiungo io, poiché non ci permette più di “spegnere il cervello” e far sì che siano “altri” a decidere per noi; l’unica possibilità che abbiamo per non farci raggirare da questi personaggi, sempre più costruiti ad arte per rispondere all’esigenza di spettacolarizzare anche uno spaghetto al pomodoro o un petto di pollo alla piastra, è quella di informarci, leggere, viaggiare, documentarci e provare ad acquisire competenze e sviluppare almeno un po’ di spirito critico.
Sia chiaro: io adoro questo tipo di trasmissioni. Le reputo divertenti e ricche di spunti interessanti, ma prendo con le pinze tutte le affermazioni di carattere “assolutistico” o gli atteggiamenti autoritari di certi personaggi. Non ho mai amato l’ipse dixit.
Il politico e gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin, nella prima metà del 1800 divenne celebre per la frase “dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei”, aggiungendo anche che “il gusto, così come la natura ce l’ha concesso, è ancora quello tra i nostri sensi che, tutto ben considerato, ci procura il maggior numero di godimenti” e allora, pur con tutta l’apertura mentale e la voglia di sperimentare e provare cose nuove, perché permettere ad altri, magari autentici cialtroni, di scegliere per noi questi piaceri?